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Tra paradosso e realtà, nel romanzo di Carlo Alfieri si snoda una vicenda emblematica del mondo del lavoro delle grandi multinazionali, vicenda che ha risvolti umoristici, dal sottofondo amaro, e umani, corredati da annotazioni di costume estremamente interessanti.
A partire dalla conformazione peculiare del luogo, in cui si svolge la vicenda, dal linguaggio proprio dei personaggi, dagli epiteti e dai soprannomi attribuiti ai singoli protagonisti, dall’insieme degli atti e delle ragioni che muovono i fatti raccontati, si percepisce un’ispirazione narrativa assai originale e un modo personale di guardare in faccia la realtà. Ironia e attenzione, il sorriso quasi beffardo accompagnato alla comprensione umana nei confronti dei protagonisti, tutto mostra come la personalità dello scrittore si collochi in un contesto puramente individuale, privo di riferimenti letterari precisi, e come sia ben riconoscibile una scrittura che tende a collocarsi fuori dagli schemi e dalle scuole, pur seguendo le regole della composizione linguistica e della fluidità del racconto, allo scopo di coinvolgere il lettore anche a livello emotivo.
Se si pensa che tutto questo è stato ottenuto da Carlo Alfieri alla sua prima esperienza editoriale, possiamo intuire come egli abbia a lungo elaborato, razionalmente parlando, e in privato, il suo stile e la sua scelta espositiva. L’esito, assai lusinghiero ed efficace della sua opera, ci lascia supporre che abbia ulteriori sorprese per i suoi lettori che, al di là dei temi dei prossimi romanzi, certamente ne riconosceranno la sagacia e la profondità di indagine psicologica, velata appena dalla leggerezza del piacere di raccontare, che gli è proprio.
Rina Gambini
La Nemesi Moldava è una metafora del mondo del lavoro, come afferma Federico Moccia nel commento pubblicato in aletta di copertina, quasi a continuare la nobile tradizione delle alette di copertina d’autore, di cui fu maestro Italo Calvino per Einaudi, negli anni Sessanta. È una metafora, è vero, ma una metafora paradossale, in quanto le situazioni, peraltro ricche di humor, del romanzo sono forzate in un paradosso più o meno accentuato. Molte infatti sono inverosimili, ma hanno il potere di svegliare la fantasia del lettore per fargli immaginare che sia possibile quella specifica realtà o quella particolare contingenza. Così, anche quando il lettore sorride per la stranezza dell’ episodio narrato, la forza della metafora emerge prepotente. Vi citerò pochi esempi, perché mi sembra giusto che ognuno vada da solo alla scoperta dell’intreccio della storia, ma voglio soffermarmi su quello dell’inclinazione del pavimento del building, decrescente man mano che i piani salgono, emblema della difficoltà della carriera, che prevede ovviamente un cambiamento di livello e quindi del piano dell’ufficio. L’idea, nata dalla mente contorta e perversa del Presidente della corporation, è stata realizzata dall’architetto Demetriou Kubo, affinché il costante sforzo psicofisico a cui sono sottoposti gli impiegati, impedisca loro di distrarsi o addirittura di trovare rifugio, o pausa, in bagno o al caffè, troppo faticosi da raggiungere.
La corporation, il luogo di lavoro del protagonista e narratore, il giovane ingegnere Gualdo Gualdi e dei suoi colleghi, è totalmente dedita al business, al profitto più sfrenato, ad affari a tutto campo, più o meno loschi ed ambigui, insospettati, come emergerà nel corso di una conferenza ed ostentati come prodezze finanziarie. Un mondo, quindi, che si nutre di eccessi e disomogeneità, cui mette fine l’ultima arrivata, una bellissima, colta, intelligente giovane donna proveniente dalla Moldavia rumena, cui viene attribuito il soprannome di Nemesi Moldava. Quello dei soprannomi è un’invenzione veramente originale dell’autore, che attribuisce ad ognuno dei personaggi del romanzo, e naturalmente ad ognuno che riveste un ruolo nella corporation, un nomignolo indicativo del suo incarico, del suo carattere o delle sue qualità. La fantasia di Alfieri sembra inesauribile in questa continua invenzione, che non è superficiale ironia, bensì ricerca di equilibrio tra personaggio e nome attribuito, funzionale allo svolgersi stesso del romanzo. Sempre per citare soltanto qualche esempio significativo, Iena Plorans (piangente) è il capo del personale, Fibonacci il direttore finanziario, Sadiq Hussein il capo dell’Ufficio Legale e Battista colui che affibbia a tutti il soprannome del caso.
L’impalcatura generale delle stranezze si smonta con la personalità positiva della giovane neo-assunta, che assume appunto il ruolo della Nemesi, della vendetta divina, secondo la mitologia classica, vista come la potenza che abbatte ogni dismisura, ogni eccesso umano. I greci pensavano che l’eccesso sconvolgesse l’ordine del mondo e mettesse a repentaglio l’equilibrio universale, quindi dovesse essere castigato dagli dèi. La bella Para ha, dunque, questo difficile ruolo, in un finale sconvolgente ed apocalittico, che mette fine alla corporation, alla sua struttura e allo stesso building. Si torna,con una efficace contrapposizione di valori, alla normalità, ma l’esperienza presentata nel romanzo ha valore proprio per la potenza della sua particolarità, della sua ironia, della capacità di far riflettere divertendo.
Un romanzo da leggere, anche perché si legge avidamente, in poche ore, con appassionata apprensione di sapere come va a finire: è proprio questo ciò che deve fare una buona opera narrativa!