I dialoghi del tram

Il tram è a Milano luogo di socializzazione e di scambi culturali. A volte capita di incontrare tipi strani, che attirano irresistibilmente soggetti assolutamente normali. Il risultato è spesso imprevedibile.

Dialogo 1

-Permette?
-Mi dica...
-Vorrei sottoporle un mio breve elaborato...
-Sentiamo!
-Però prima devo premettere una cosa.
-Premetta...
-Vorrei diventare redattore della Settimana Enigmistica.
-Un’aspirazione legittima, ma assai difficile penso.
-Il sogno della mia vita...
-Sentiamo dunque l’elaborato.
-Si chiama “Spostamenti spaziali con integrazione”
-Interessante!
-Allora, ecco: la locuzione latina “Per aspera ad astra” diventa “Pera, spera Ada, stra(fatta)”
-Una struttura complessa... immagino “pera” nel senso gergale di... 
-Proprio così!
-E l’integrazione?
-(fatta). 
-Comprendo.
-Posso provare a sottoporre?
-Ma certo, sottoponga.
-Pensa che me la pubblicheranno?
-Ah, quanto a questo, chi può dirlo? Sa, gli editori, anche quelli della Settimana Enigmistica, sono tutti fatti a modo loro. Ci vuole fede e speranza.
-Nient'altro?
-Molta pazienza. Beh, io sono arrivato. La saluto.
-Io scendo alla prossima. Buona giornata.
 

Dialogo 2

-Un po’ che non ci si vede. È stato via?

-Sì, un viaggio con mia moglie in Brasile. Paese di grande fascino e ci hanno organizzato delle gite culturali molto interessanti. Siamo stati anche sulle famose spiagge di Ipanema e di Copacabana. Non le dico...

-Cosa?

-Be’ mi capisce... le ragazze, the girls of Ipanema, magnifiche, bikini mozzafiato, e quando proprio sono coperte, maglietta e bermuda e nient’altro. Ho pensato che forse era per questo che sugli autobus delle gite culturali c’erano solo quelli, come me, con la moglie. Gli altri, neanche uno. 

- Eh, caro signore, bisogna ammettere che il nostro pianeta offre bellezze incomparabili, luoghi di grande fascino e interesse, che hanno ispirato artisti, pittori e poeti, scultori e fotografi, musicisti e letterati, scienziati e sognatori...
- Proprio così! Qualcuno di questi luoghi le è particolarmente caro?
- Sì, nella bella stagione, il Triangolo senza bermuda, frequentavo molto da giovane...
- E adesso?
- Da quando non mi danno la patente per problemi di vista, non più.
- Perché, ci andava in macchina?
- No, non è questo il punto. Il fatto è che proprio non vedo più il Triangolo.
- Comprendo. Vabbè, io scendo qui. Mi stia bene, arrivederci.
- Arrivederci, caro.

Dialogo 3

-Oh caro signore, mi fa piacere rivederla qui sul 19!

-Anche a me, davvero. Come vanno le cose?

-Stamattina così così.

-Che succede?

-La notte scorsa ho avuto un terribile incubo.

-Che cosa sgradevole. Cos’ha sognato, se posso chiedere?

-Ma certo! Dunque nel sogno avevo la mia età attuale, ma stranamente mi trovavo davanti alla lavagna e dovevo sostenere un esame di matematica. Forse era un esame della maturità scientifica.

-Ah, sì, un incubo ricorrente, conosco diverse persone che l’hanno sperimentato.

-Ecco, dunque il professore mi chiede: “Usando la notazione esponenziale in base 10 mi dica quanti minuti ha vissuto fino ad ora”. Io, rapidamente, parto dal mio anno di nascita, ore 4 a.m., faccio i conti fino al momento attuale, considero gli anni bisestili, e rispondo: “4,20768 x 106 minuti”

-Bravissimo! – mi dice il professore. E adesso mi dica, durante questo sterminato numero di minuti, quante volte ha fatto sesso?

Io mi sento perduto. Tento una risposta:

-Dunque 52 settimane all’anno moltiplicato per i miei anni, meno le settimane che proprio non succedeva niente, meno i primi diciotto anni di vita, meno gli ultimi dieci anni, ecco, insomma... direi 1,9 x 103.

-Ahi, ahi, ahi – mi fa lui - Non ci siamo, mi dispiace. Quanto ad autoerotismo, come siamo andati?

-Beh, qui meglio, mi sono impegnato di più, le assicuro professore! Vabbè, le dò un sei d’incoraggiamento, - dice - però mi raccomando nella prossima vita s’impegni di più! Capisce, caro amico, umiliato e sfottuto così davanti a tutti.

-Non se la prenda, e segua il consiglio del professore. Mi dicono che di questi tempi è tutto più facile. Devo scendere, arrivederci. 

 -Grazie, arrivederci.

Dialogo 4

-Eccoci, qui, ormai sta diventando un’abitudine!

-Beh, sa com’è, il tram è il vero social network di noi anziani...

-Piano con queste definizioni avventate: anziani? No. Non è politically correct! Noi siamo senior citizens.

-Ah, mi scusi. In che lingua?

-In inglese.

-Ecco, buono a sapersi.

-Dove va di bello?

-Ho un problema con una società telefonica, che vuole da me 248 euro. Solo che non ho capito perché.

-Ma lei ha un contratto con questa società?

-Mai visti, né conosciuti. Solo che loro dicono che ho accettato un contratto telefonico e televisivo, con tre canali porno gratuiti, per via telematica. Dicono che ho cliccato...

-Cos’ha fatto?

-Ho cliccato, vuol dire che secondo loro ho schiacciato un tasto che corrispondeva a “sì” e che quindi se adesso voglio uscire dal contratto devo dargli questi soldi. Ma io sono sempre stato cliente di un’altra società, che c’era già ai tempi di mio padre...

-Sa cosa le dico? Non si può andare avanti così! Guardi lei mi è simpatico, il suo nome lo ricordo, voglio aiutarla. Come si chiama la società?

-Telomet o Telinfil, non ricordo, una delle due. Comunque il concetto è quello.

-Va bene, telefono a un mio cugino in Sicilia. Vedrà che non sarà più molestato.

-Troppo gentile, fa piacere che ci sia ancora una giustizia in questo Paese!

-Proprio così! Io ora scendo, ci si vede e mi farà sapere. 

-Grazie ancora, a presto!

Dialogo 5

-Le interessa quello che sto leggendo?

-Mi scusi, non volevo essere invadente... però non ho potuto fare a meno di notare che sta leggendo un libro molto interessante, un grande romanzo moderno di duemila anni fa, Metamorphoseon libri XI. Lo legge direttamente in latino?

-Sì.

-Con il testo a fronte e la traduzione a destra?

-No.

-Perbacco, ma allora certo che il latino lo conosce bene! Lei è un professore?

-Mai studiato il latino in vita mia.

-Sono confuso.

-Il fatto è che ciò che conta non è quello che sei, ma quello che gli altri pensano che tu sia. Vede, lei ha pensato che io sia un professore. Per esempio, se lei si mettesse gli stessi occhiali di Yves Saint Laurent che usa Piero Angela, visto che un po’ anche gli somiglia, la gente penserebbe: quello lì deve essere uno intelligente. Invece magari lei è una testa di cazzo. Si fa per dire, naturalmente.

-Naturalmente.

-Bisogna diffondere cultura. Basta diffonderla: di questi tempi, possederla non è indispensabile.

-Ma così si rischia di diffondere cretinate, non la cultura.

-Questo è precisamente quello che sta succedendo. Ma l’effetto è sensazionale. Pensi a questo: se io le dicessi, che ieri la mia compagna mi ha sbattuto fuori di casa e io...

-Ma cos’era successo?

-Non è importante. Mi ha sbattuto fuori di casa e io lì a piagnucolare tutto il giorno per farmi riaprire, lei cosa direbbe?

-Che lei è proprio una testa di cazzo. Si fa per dire, naturalmente.

-Naturalmente. Ma io non le dico questo: le dico che ho passato il pomeriggio, emettendo un disperato paraclausithyron davanti alla porta chiusa della mia amata, lei cosa direbbe?

-Non lo so, non conosco il termine.

-Fa niente, neppure io prima di leggerlo sulla Settimana Enigmistica. Però è una bella parola che fa colpo! 

-Questo è vero. Be’, adesso devo scendere, la saluto e complimenti! Visto che le piacciono le parole difficili, le dirò che Lei è proprio un grande orchiclasta e caput mentulae!

Dialogo 6

-Diciamo pane al pane e pino al pino. Questi tram sono storici e pittoreschi, ma anche assai scomodi!

-Sono d’accordo, ma me lo ricordavo diverso.

-Il tram?

-No, il proverbio.

-Io lo preferisco così. I proverbi come espressione della saggezza radicale della koinè dell’ethnos non sono scolpiti nella pietra ma, al contrario, sono interpretabili e mutabili.

-Non ci avevo mai pensato. Lei è un sociologo?

-No, sono un epistemologo ermeneutico.

-Ah, complimenti!

-Non c’è di che. Vede, se io le dicessi: “Non c’è peggior sardo, di chi non vuol sardine”, lei cosa penserebbe?”

-Se posso permettermi...

-Si permetta.

-Una vera cazzata, così di primo acchito.

-Invece no. I proverbi fanno parte della cultura popolare quindi, in quanto cultura, sono interpretabili scientificamente e i loro significati criptici possono essere portati alla luce, con gli strumenti dell’epistemologia e dell’ermeneutica.

-Comprendo.

-Ciò è agevole di fronte a proverbi semplici, come: “Tanto va la gatta al lardo, che ci lascia lo zampino.”

-Davvero, questo è chiaro. Ma quella cosa delle sardine...?

-Per affinare le proprie capacità analitiche uno deve porsi davanti a “modelli “nonsenso”, almeno apparentemente. Ci pensi un momento: la Sardegna è un’isola, quindi un territorio circondato dal mare.

-Su questo non ci piove.

-Nel mare ci sono pesci, molluschi, crostacei e cefalopodi. Quindi possiamo pensare che le popolazioni isolane basino largamente la loro alimentazione su queste categorie di alimenti.

-Mi sembra ragionevole.

-E dunque cosa significa che un sardo non vuole le sardine?

-Forse non gli piacciono...

-Questa è la tipica spiegazione banale, basata sul rasoio di Ockham, che viene per prima alla mente dell’incompetente. Invece no, occorre analizzare in profondità: un sardo che rifiuta la sardina esprime il distacco dalle proprie radici alimentari, e quindi culturali, tenendo conto anche dell’affinità radicalica tra “sardo” e “sardina”. Egli rifiuta dunque la propria “sardinienkeit”. Il proverbio esprime esattamente questo: ci sono quelli che non vogliono integrarsi nel proprio gruppo sociale, degli outcast che rifiutano tutto e tutti e vogliono vivere una vita diversa da quella assegnatagli dal destino. 

-Impressionante! Be’, io scendo alla prossima. Sa, mi ha fatto venire in mente una cosa: la mia gatta del lardo se ne fotte, ma va pazza per le sardine. Buongiorno e arrivederci!

Dialogo 7

-La vedo pensoso...

-Ah. Mi scusi, non l’avevo notata. Sto sempre a rimuginare cose di poco conto, bagatelle, non mi voglio atteggiare a studioso con la testa fra le nuvole, che poi faccio figuracce e non saluto le persone...

-Ma è bello lasciare vagare la mente, e arzigogolare su cose, fatti, oggetti e nomi magari di non grande importanza, ma inconsueti, strani, mai sentiti prima!

-Ecco, ha colto precisamente nel segno. Io mi picco, è un’innocua mania, le assicuro, di conoscere quasi tutte le parole della lingua italiana. Tanto è vero che non ci sono parole crociate della Settimana Enigmistica che riescano a mettermi in difficoltà.

-Ah, complimenti, mi congratulo vivamente.

-Ma si figuri... roba da niente. Ma naturalmente, quando mi trovo un “9 verticale” di sei lettere come quello che mi è capitato ieri, e non riesco a venirne a capo, la cosa mi disturba, a dir poco.

-La capisco. Com’era la definizione?

-“Una specie di agrume sardo”; va da sé che non era limone.

-Già, sarebbe stato troppo facile, e comunque non tipicamente sardo. E quindi?

-Quindi mi massacro su dizionari e Wikipedia, finché trovo la soluzione. L’agrume in questione è la pompìa. Wikipedia ci fa sapere che la pompìa, Citrus limon varietà pompìa, è una varietà di limone della Sardegna, diffusa in particolare in alcuni comuni tra cui Orosei. Fino al luglio del 2015 veniva definita col nome di Citrus monstruosa, il quale non era però riconosciuto a livello accademico.

-Interessante!

-La stessa fonte poi ci dice che le origini della pompìa non sono ancora chiare; la teoria più accreditata è quella che si tratti di un ibrido tra cedro e limone, anche se alcuni studiosi parlano di un ibrido tra cedro e pompelmo. Ciò che è certo è che la pompìa è tra gli agrumi più rari di tutto il mondo: fino a venti anni fa non esisteva che qualche centinaio di alberi.

-Perbacco, una vera perla culturale! Confesso che non ne avevo mai sentito parlare. Dunque un altro trionfo contro le parole crociate più difficili!

-Sì, certo, la cosa mi ha dato soddisfazione. Ma ho un tarlo che mi rode, per così dire...

-Me ne vuole parlare? Se posso esserle utile...

-Ecco, mi domando: se mettendo in infusione con alcol e zucchero le scorze di limone, si produce un liquore che si chiama limoncello, come si potrebbe chiamare il liquore analogo fatto con la pompìa?

-Oddio, chiacchierando non mi sono accorto che sono alla mia fermata. Le prometto che ci penso su, e se mi viene qualche idea la prossima volta ne parliamo. 

-A presto, caro!

Dialogo 8

-Oh, eccola qui! Se non sbaglio è un po’ che non ci si vede.

- Davvero. Sono andato al mare per un paio di settimane.

-Beato lei! Io ci andrò in settembre.

-Se è fortunato col tempo, è ancora meglio di agosto.

-Speriamo in bene. Ha scoperto qualcosa di buono, qualche specialità locale notevole?

-Ma, non saprei... una sera sono andato in un bel ristorante aperto da poco da uno chef, uno di quelli che ha vinto un’importante gara televisiva di cucina, ha presente?

-E come no! Ormai non si vede altro.

-Ecco. Dunque ho ordinato un antipasto e un primo. L’antipasto era molto elaborato, veramente una specialità.

-Me lo racconti, ho già l’acquolina in bocca.

-Dunque, me lo sono imparato a memoria, tanto era affascinante: erano fegatini di fagiano, aromatizzati all’armagnac e al coriandolo, con julienne di quiabo appassita al coulis di anguria e sale azzurro del Tibet, su un letto di emulsione di goji e pepe lungo del Madagascar. 

-Azz... mi scusi, volevo dire perbacco, che fantasia! E mi dica, com’era?

-Be’, cosa vuole che le dica, strano, ecco non avevo mai mangiato niente di simile.

-Di secondo cos’ha preso?

-Ah, qui mi sono detto: andiamo sul classico. Una bella parmigiana di melanzane.

-E com’era?

-Non so se posso permettermi...

-Si permetta.

-Non vorrei osare troppo...

-Osi!

-Glielo dico sottovoce: faceva veramente cagare! Se fosse stata una partita di pallacanestro, quella di mia mamma vinceva centoventicinque a zero.

-Non ci sono più le mamme di una volta.

-No, e neanche le melanzane.

-Io scendo qui, ci si vede. 

-Lo spero proprio. A presto!

Dialogo 9

-Mi scusi se mi intrometto. Vedo che sta leggendo un libro in giapponese, ma lei non mi sembra un orientale. La cosa mi ha incuriosito, mi scusi ancora.

-Ecco il fatto è che sono nato in Giappone. I miei sono di Bergamo, e hanno vissuto a lungo a Tokyo, mio padre lavorava là.

-Interessante, cosa faceva se posso...

-Ma certo, faceva il cuoco in un grande albergo. Così io sono andato a scuola fino al liceo in quel paese, l’italiano e il bergamasco li ho imparati in casa.

-Ah, sarà stato difficile immagino.

-Per l’italiano sì, molto. Invece il bergamasco e il giapponese non mi hanno dato problemi. Sono lingue intrinsecamente incomprensibili da chiunque non le impari fin da neonato e io fortunatamente ho proprio cominciato così.

-Ma che storia affascinante. Ne trarrò spunto per il mio prossimo romanzo!

-Lei è un romanziere, dunque!

-Poco più che un esordiente, per ora. Ma confido che il romanzo che sto scrivendo mi porterà al successo.

-Glielo auguro di cuore. Cosa sta preparando?  

-Un romanzo surrealista.
-Ah benissimo, interessante… a che punto è?
-Ho scritto solo la fine, per ora.
-Sarebbe a dire?
-La scena finale, l’epilogo, drammatico e sconvolgente. Glielo leggo?
-Ma certo, ci mancherebbe.
-Si tratta di un dialogo tra i due personaggi principali, due superstiti del Titanic. Si viene a sapere che in realtà il piroscafo non è mai affondato. Il comandante dopo aver dato l’ordine di abbandonare la nave, con un manipolo di pochi ufficiali e marinai scompare nella notte e fa rotta per Montevideo, dove la nave viene venduta sotto falso nome alla mafia cinese di Hong Kong. 
-Perbacco, piacerà ai complottisti!
-Ma ecco il dialogo finale tra i due superstiti. Il primo racconta al secondo una scena d’amore della quale è stato testimone, tra una donna bellissima, una miliardaria brasiliana, e il barista del bar di prima classe. La donna deve prendere posto nelle scialuppe, ma non vuole abbandonare l’uomo della sua vita.
-Commovente! Dunque mi legga il dialogo.
-Ecco.
“Capisci, la donna si gettò in ginocchio ai piedi dell’uomo e alle sue gambe si abbarbicò.”
“Cosa fece?”
“Si abbarbicò.”
“Ah, però… si abbarbicò.”
“Proprio così. Si abbarbicò.”
“E lui cosa disse?”
“Ambarabbaciccicoccò.” 
-Insolito, davvero! E poi? 
-E poi niente. Il romanzo finisce qui.
-Capisco. Molto promettente. Vada avanti e la prossima volta che ci incontriamo spero che mi racconti il resto della trama. Buonasera, scendo qui.
-Ci può contare, grazie, buonasera.

Dialogo 10

-Oh, caro professore!

-Ci conosciamo?

-Lei non si ricorda di me, ma io la riconosco: lei è l’epistemologo ermeneutico!

-Complimenti, davvero molto fisarmonicista.

-Veramente non suono questo strumento... ah, capisco, un lapsus, si intende, voleva dire fisionomista.

-No, se dico fisarmonicista, intendo fisarmonicista. Sta a chi ascolta interpretare, decostruire, elaborare e rimontare la semantica del messaggio.

-Ma non sarebbe più comodo...

-No. La parola è un medium. Lei avrà certamente letto Herbert Marshall McLuhan.

-Mi sembra di no.

-Ci avrei scommesso. McLuhan ha detto: il medium è il messaggio. La parola è un medium, quindi la parola è un messaggio. E i messaggi vanno interpretati. Chiaro, no?

-Forse mi è sfuggito qualcosa...cosa ha detto questo McLuhan?

-Il medium è il messaggio.

-Il medium...  quello che fa comparire gli spiriti dei defunti?

-Ma lei proprio non capisce niente!

-Mi scusi.

-Medium è il singolare, in latino, di media, i mezzi, i mezzi di comunicazione. Chiaro?

-Chiarissimo.

-Mi faccia un esempio, per dimostrarmi che ha capito.

-Dunque... il tram è un mezzo di trasporto, il tram è un medium, il tram è il messaggio.

-Non ci avevo mai pensato.

-Vede? A volte l’evidenza è sotto i nostri occhi, e non riusciamo a vederla.

-Lei è molto perspicacio.

-Questo lo ammetto, faccio equitazione. Sono perspicaciocavallo.

-In che senso?

-Ne parliamo un’altra volta, adesso devo scendere. Buona giornata, alla prossima! 

-Alla prossima.

Dialogo 11

-La vedo corrucciato, oggi...

-Lo sono, devo ammetterlo. Ho avuto una discussione alquanto animata con il condomino che abita sopra di me. Da una settimana faceva un baccano tremendo tutte le sere dopo cena, io mi sono lamentato, e lui mi ha detto che il regolamento condominiale non proibiva di spaccare la legna fino alle 22.30

-Spaccare la legna?

-Mi ha spiegato che parteciperà a una Gara degli Spaccalegna. La gara si svolgerà durante le feste del Santo patrono nel suo paese natale, nell’alta Val Brembana e quindi lui deve allenarsi.

-Seccante, lo ammetto.

-Poi sono uscito di casa e sono rimasto imbottigliato in un ingorgo stradale pazzesco dovuto ad un corteo di protesta di non so chi. Sono riuscito a tornare a casa, rimettere la macchina nel box, e sono andato a piedi. Cinque chilometri a piedi, capisce? Una giornata decisamente no.

-Suvvia, non se la prenda. Non tutti i buchi hanno intorno una ciambella, come diceva argutamente la baronessa Amelia de Melincourt.

-Chi è la baronessa Amelia de Melincourt?

-Non ne ho la più pallida idea. Però quando faccio una citazione, mi piace indicare la fonte. Se non la so, me la invento.

-Comprendo.

-E comunque, dove ha dovuto andare così lontano a piedi?

-All’Ufficio contravvenzioni del Comune. Mi avevano dato una multa perché avevo parcheggiato dieci minuti dentro le strisce blu, senza esporre il contrassegno. All’addetto dietro lo sportello ho fatto presente che ero andato a fare una donazione di sangue, e gli ho mostrato la documentazione probante.

-E lui?

-Mi ha guardato con aria severa e mi ha detto: solve et repete.

-Perbacco! E lei?

-Be’, che potevo fare, ho pagato. Ma mi girano, come ha detto argutamente il presidente Marchionne. Si rende conto: tutti gli automobilisti del mondo quando vanno a contestare una multa, si trovano davanti una faccia da schiaffi che li sfotte al di là di un vetro, ma qui da noi ti prendono per il culo in latino, ma si rende conto!?

-Tenga presente che qui siamo nella culla del diritto...

- Qui siamo nella culla dei... oddio, scusate devo scendere, scusate lasciate passare... ne parliamo la prossima volta! 

-Alla prossima, caro.

Dialogo 12

 Ha visto che roba?

- Quale roba?

- In Catalogna. Questi tirano dritto e vanno compatti allo scontro frontale!

- Be’... compatti non direi, ieri c’erano in piazza un milione di persone contro la secessione.

- Appunto, questo volevo dire, milioni per la secessione e milioni contro. Posizioni nette, chiare, irremovibili. Chissà come andrà a finire?

- In effetti anche i commentatori più autorevoli sono molto prudenti al riguardo.

-  Ecco, le devo dire che se una cosa così succedesse da noi, io invece so benissimo come andrebbe a finire.

- Ah, questa è bella! E come?

- Dunque il Governatore annuncia l’indipendenza della Lombardia e proclama il Sacro Lombardo Impero.

- Ma scusi, per avere un impero occorrono le colonie, i territori d’oltre mare...

- Il piano è di conquistare la Libia e annetterla alla Lombardia. Due piccioni con una fava: fondazione dell’impero e un posto tranquillo dove rispedire tutti i migranti.

- Geniale! E chi manda conquistare la Libia?

- I vigili urbani, un corpo altamente specializzato. Dopo una settimana che gli multano tutti i cammelli per sosta vietata, i libici preferiranno arrendersi.

- Capisco. E poi che succede?

- Qui cominciano i guai e si manifesta chiaramente il nostro carattere nazionale. La provincia di Bergamo si stacca dalla Lombardia e dichiara l’annessione al Patriarcato di Venezia. L’Oltrepò pavese fa lo stesso e proclama il Principato del Barbera. Mantova, si accorda con Parma e Piacenza e ripristina il Granducato, che assegna con diritto di successione dinastica al commendator Rovagnati.

- Ma qui siamo al caos!

- Non è finita: Varese e Como chiedono con plebiscito di essere annessi alla Svizzera, Sondrio e la Valtellina dichiarano l’indipendenza e vietano l’importazione della bresaola straniera nei propri territori, Brescia insorge e chiede di fare parte della Borgogna...

- Sarà per via della Franciacorta e l’affinità della vocazione vinicola...

- Proprio così, si vuole il ripristino della Francialunga.

- E poi?

- Nel frattempo il governatore, ormai imperatore, ha fatto battere moneta, nei tagli da 14, 7, 3,5 e 1,75 maroni d’argento. Al recto il Carroccio e al verso l’immagine di Federico Barbarossa, cosa che suscita qualche malumore nella base del partito.

- Il potere dà alla testa, si sa. E infine?

- Alla fine, dopo altre infinite secessioni e separazioni, accade che il condominio dove abita il Governatore con la famiglia, dopo una tormentata assemblea condominiale, dichiara di non appartenere più al Sacro Lombardo Impero e ottiene l’annessione alla Nigeria. Così adesso il povero Governatore, per uscire di casa, deve chiedere in Questura il permesso di soggiorno.

- Sic transit gloria mundi, caro professore. Be’, devo scendere, grazie per la chiacchierata. 

- A presto caro!

Dialogo 13

-Che piacere rivederla. Siamo mattinieri oggi!

-Eh, sì. Sto andando in banca a portare i documenti per un mutuo. Mia figlia, ha avuto un bambino, il terzo, pochi giorni fa.

-Complimenti, nonno!

-Grazie.  Ecco, come dicevo, sa com'è, con tre bambini in casa occorre qualche metro quadrato in più e mia figlia vorrebbe compare un appartamento più grande. Io e sua madre ci siamo offerti di finanziare l'acquisto, ma i ragazzi sono orgogliosi, hanno detto no: se volete aiutarci fateci avere un mutuo, per le rate ci pensiamo noi. 

-Capisco. E com'è oggi ottenere un mutuo?

-Be’ qualche difficoltà c’è, ma insomma speriamo di farcela. Se i ragazzi vendono l’appartamento dove stanno adesso, la differenza per comprare quello nuovo è di seicentomila euro.
In banca naturalmente mi hanno chiesto garanzie: fortunatamente siamo una famiglia molto unita, e ci siamo mobilitati tutti. Mettendo insieme le mie proprietà, quelle di mia moglie, quelle dei consuoceri, anche i miei fratelli si sono prestati all'operazione, e anche una zia che possiede un building a New York, insomma possiamo offrire garanzie reali per oltre un miliardo di euro, e a fronte di questo il direttore mi ha detto che possiamo star tranquilli, che almeno quattrocentomila a mia figlia lo possono finanziare.

-Se fossi in lei sarei un po’ deluso… forse a cinquecentomila poteva arrivare.

-Vabbè, accontentiamoci. Cambiando discorso, l’accenno alla zia di New York mi ha ricordato una riflessione che ho fatto stamattina al bar.

-Le sue riflessioni sono sempre interessanti. Mi dica.

-Dunque ho ordinato un cappuccino, e per prima cosa il barista mi ha chiesto se volevo della polvere di cacao. Gli ho detto che per me era uguale e lui mi ha guardato molto deluso, quasi offeso. Nel frattempo gli avventori vicino a me hanno ordinato agli altri baristi i loro caffè: normale, lungo, molto lungo, ristretto, molto ristretto, macchiato, nero con latte caldo a parte, nero con latte freddo a parte, d’orzo in tazza grande, shekerato con vaniglia, shekerato senza vaniglia, con cacao dolce, con cacao amaro, con scorza di limone, corretto grappa, corretto amaro… cappuccino con panna e senza panna, frappuccino, marocchino… roba che se facessi il barista andrei al neurodeliri dopo mezzora.

-Davvero, che fantasia abbiamo! E lei cos'ha pensato?

-Che quei politici che alcuni anni fa sognavano un sistema politico bipolare in Italia, vivevano d’illusioni. Se ci pensa bene, i sistemi bipolari perfetti o molto vicini alla perfezione esistono solo nei paesi anglosassoni, e sa perché?

-Me lo dica lei.

-Perché la gente al mattino o dopopranzo, quando entra in un bar dice: per favore, un caffè. Oppure per favore, un tè. Tertium non datur.

-Interessante, non ci avevo mai pensato. Ecco, sono alla mia fermata. Ci vediamo presto, spero.  

- A presto, caro!

 

Dialogo 14

-Caro professore, come sta, ha iniziato bene l’anno?

-Ma sì, direi di sì, tutto sommato.

-Cos'ha fatto di bello?

-Ho riflettuto, ingegnere.

-Ah, ecco, le sue riflessione mi interessano sempre... e su cosa ha riflettuto questa volta, se posso permettermi?

-Su un fatto linguistico, e cioè sulla differenza tra organaro e organista.

-Ammetto di non averci mai pensato.

-Non ci pensa quasi nessuno, in effetti. Dunque, passavo la notte di fine d’anno da solo, la mamma mi ha detto che andava in Messico con amici e mi ha invitato ad andare con lei, ma io ho declinato l’invito, questi amici della mamma, che da quando è rimasta vedova non la tiene più nessuno, sono troppo esuberanti, e io rifuggo in generale dall'esuberanza, non so se mi spiego.

-Perfettamente, e comunque complimenti alla mamma, ancora così attiva!

-Eh, davvero, i suoi ottant'anni li porta molto bene e non le sono d’ostacolo a una vita assai dinamica.

-Incoraggiante per tutti noi! Ma mi dica della sua fine dell’anno, che ha fatto tutto solo?

-Ho ascoltato un’esecuzione dell’Hexachordum Apollinis e del Canone e giga in re maggiore per tre violini e basso continuo di Johann Pachelbel.

-Ah! Cosa c’è di meglio di una bella giga per passare la notte di Capodanno!? E la famosa riflessione?

-Ecco, in quel momento mi è sovvenuto che Pachelbel era sia organista che organaro.

-Perbacco... in che senso scusi?

-L’organista com’è noto suona l’organo. L’organaro invece è l’abile artigiano che l’organo lo sa mettere a punto, riparare se danneggiato, ricostruire se ha parti rovinate. Dunque, questo esimio musicista sapeva fare l’una e l’altra cosa.

-Affascinante, davvero! E ha avuto notizie dalla mamma, come se la passa?

-Sembra che si diverta da matti, fuori tutte le sere, tequila e tortillas. E gran balli alla musica dei mariachis.

-Cosa sono?

-Confesso che non lo sapevo, così mi sono informato. Sono gruppi folklorici locali che suonano musica etnica con violini, trombe, chitarre,  vihuela e guitarrón.

-Sembra eccitante. Se mi posso permettere...

-Si permetta.

-Molli per un momento l’organista/organaro e vada in Messico dalla mamma. Secondo me sarà un’esperienza dalla quale uscirà rinfrancato nel corpo e nello spirito.

-Beh, l’idea non è male, adesso devo scendere e grazie per il suggerimento! 

-A presto e buon viaggio!

Dialogo 15

-Carissimo professore! L’abbiamo vista poco, ultimamente.

-Guardi, sono due anni che sto scrivendo un saggio in tre volumi e mi sono detto: mi chiudo in casa e finisco il lavoro, non ne posso più.

-Perbacco! Tre volumi, un’opera monumentale, direi. E di cosa tratta, questa volta, se posso permettermi?

-Il titolo è “Pericolosità sociale dei trombiculidi”.

-Questa definizione non l’avevo mai sentita! Ma... ma... lei si attirerà gli strali delle organizzazioni per i diritti civili, le piazze si riempiranno di marce dell’orgoglio e l’assedieranno in casa con picche e forconi! Ci ha pensato?

-Ma che dice!? I trombiculidi sono acari parassiti, veramente pericolosi, che infestano indifferentemente volatili, rettili e mammiferi, compreso l’uomo.

-Ah, ecco. Mi scusi l’equivoco. Avrei però una domanda, professore, non so se posso permettermi...

-Si permetta.

-Mi chiedo a chi diavolo possano interessare tre volumi su una specie di acari.

-A nessuno naturalmente. Ma la scienza è la scienza e procede indifferente e irriguardosa dell’interessamento delle masse.

-Eh no, qui non ci sto! Pensi all'emozione che in questi giorni ha suscitato la morte del grande matematico e cosmologo Stephen Hawking.

-Ma lei non penserà davvero che ai popoli della Terra interessi cosa c’è nei buchi neri e se è vero che in prossimità di questi oggetti il tempo si ferma e se prima del big bang ci fosse qualcosa o meno. Una beata mazza gliene frega, glielo dico io. Il fatto è che le masse si lasciano coinvolgere, qualunque sia l’argomento, dal personaggio. Hawking aveva una mente straordinaria, racchiusa in un corpo deforme, malato: per muoversi e comunicare il suo pensiero aveva bisogno di complicati congegni tecnologici. Queste cose creano la leggenda!

-E quindi?

-E quindi, poniamo il caso che adesso il nostro tram si schianti contro un TIR carico di cemento...

-Vorrei fare un piccolo scongiuro...

-Prego.  Dunque il tram si schianta, io finisco su una sedia a rotelle e perdo l’uso della parola e delle braccia. Così immobilizzato subisco un’infestazione di trombiculidi e per grattarmi devo usare un robot progettato come grattatore. Io e il robot, immediatamente famoso come Robo-Scratch, diventeremmo ospiti fissi dei maggiori network televisivi e la gente non farebbe che parlare di trombiculidi.

-Oddio, non mi ci faccia neppure pensare, professore! 

-Bè, io scendo alla prossima. Magari nei prossimi anni mi vedrà in TV. Buona giornata!

Dialogo 16

- Caro direttore, la vedo pensoso questa mattina.

- Eh, sì, professore, da qualche giorno sto meditando sui giovani d’oggi. Non sono d’accordo con chi li vede scapestrati (lo eravamo noi più di loro) o, peggio, anarcoidi, instabili, nullafacenti e altre assurdità del genere. Al contrario, li trovo molto coraggiosi.

- In che senso?

- Ecco, moltissimi di loro non hanno timore ad affrontare strade nuove, a cercare o inventarsi lavori che prima non esistevano, pronti a muoversi, ad andare all’estero, ad accettare sfide a prima vista impossibili...

- Da dove le vengono queste riflessioni?

- Sono stato colpito da una storia, che riguarda un mio amico, uno stimato professionista col proprio studio ben noto in città. Ebbene questo amico ha un figlio, che si è laureato nella stessa facoltà di suo padre, ed era quindi l’erede designato a continuare la tradizione di famiglia.

- E invece?

- Invece ha seguito un corso di cucina presso una scuola specializzata ed è partito, tre anni fa, per andare a fare l’aiuto nel ristorante di un prestigioso albergo di Stoccolma. Adesso è vice-chef e guadagna il triplo di quello che avrebbe guadagnato in Italia!

- Perbacco, ci ha visto giusto il ragazzo! Le racconterò una storia, visto che stiamo trattando l’argomento giovani intraprendenti, una storia che riguarda la mia famiglia. I miei bisnonni da parte di madre avevano un po’ di terra vicino a Piacenza e quelli da parte di padre un po’ di terra dalle parti di Brescia. Coltivavano ortaggi e tre volte alla settimana andavano a venderli nelle città vicine. I miei nonni invece abbandonarono la terra, si trasferirono a Milano e divennero bravi artigiani. I miei genitori poterono studiare e conseguirono un diploma: ambedue trovarono lavoro come impiegati e fecero un’ottima carriera nell'industria. Io sono il primo laureato della famiglia e, modestamente, credo di avere fatto molto bene il mio lavoro di professionista. E adesso mia figlia, che si è laureata in archeologia, sa cosa fa?

- Mi dica!

- Col nostro aiuto, ha comprato un po’ di terra dalle parti di Lodi, ed ha messo in piedi un’azienda agricola. Produce ortaggi, che vende direttamente ad una catena di supermercati.

- Ma è straordinario!

- Davvero, è stata dura, ma in solo cinque generazioni siamo riusciti a passare dai cavolfiori ai cavolfiori!

- Complimenti, ecco io scendo qui, alla prossima e mi saluti la signora

Dialogo 17

- Professore, non la vediamo spesso a quest’ora tarda.
- Vero ragioniere, cerco sempre di tornare a casa prima, ma oggi avevo una riunione in redazione che è terminata solo poco fa.
- Cosa sta scrivendo di bello?
- Sono impegnato con una serie di articoli su un nuovo argomento di sicuro interesse.
- Posso chiedere di che cosa si tratta?
- Un’indagine in chiave epistemologica sul rapporto tra la psicanalisi freudiana e la semantica irrazionale enigmistica.
- Perbacco, indagine un po’ difficile da afferrare così, sui due piedi, ma certo mi sembrano concetti importanti e intriganti. Di che si tratta?
- Glielo spiego in termini semplici: la realtà si presenta spesso con una superficie visibile e immediatamente comprensibile, la quale però cela un’altra struttura più profonda che condiziona profondamente la realtà apparente. Questa struttura più profonda è visibile solo agli occhi dello psicanalista esperto.
- Fin qui la seguo.
- Bene. Le faccio un esempio: un tale va in giro con un martello e lo usa per rompere il cranio ai calvi che incontra per strada. Lei cosa vede?
- Be’… un mentecatto da rinchiudere e buttare via la chiave, considerando anche il fatto che come vede io sono totalmente calvo!
- Capisco il suo punto di vista. Ma lo psicanalista non la vede così: egli è capace di scovare i significati reconditi celati nella struttura profonda della realtà. Si scopre così che il mentecatto, da bimbo, era perfettamente normale e assolutamente mancino, ma suo padre, del tutto calvo come lei, lo costringeva inflessibilmente a usare la destra, ad esempio per rompere col cucchiaino il guscio dell’ovetto sodo.
- Capisco.
- Cosicché, da grande, quel bimbo, per affermare la sua personalità e compiere, secondo la prassi freudiana, l’omicidio rituale del padre, sostituì il cucchiaino col martello, e l’ovetto col cranio dei calvi incontrati occasionalmente per la via.
- Che visione profonda di un fenomeno così devastante! Ma mi dica: e come si collega tutto questo alla seconda cosa, quella difficile, dell’epistele… insomma quella cosa lì che mi ha detto prima?
- Ecco, l’enigmista, come lo psicanalista, vede una realtà nascosta dietro la verità apparente.
- Ah, ecco!
- Le faccio un esempio: se le dico elefante, le cosa pensa?
- Ma a cosa vuole che pensi? A un elefante ovviamente.
- E se le dico e-le-fante?
- Stessa cosa.
- L’enigmista invece a questo punto cambia il paradigma semantico e crea l’enigma.
- Cioè?
- Ecco: (Domanda) "Cosa si chiede un elefante davanti a un distributore di bibite che fornisce solo Coca Cola?" (Risposta) "E le Fante?"
- Acciderba, non ci avrei mai pensato, mi creda!
- Le credo. E similmente il semantema “melodia” non è per l’enigmista una forma musicale, ma il contrario di “se lo tenga”.
- Teste strane, in un certo senso…
- Sono d’accordo con lei, ma molto interessanti.
- Senta, mi è venuta in mente questa, ispirata dal luogo e dall’ora. Gliela voglio dire prima di scendere alla prossima: “È meglio autobussare alla luce del sole, che tramare nell’ombra”.
- Non male, non male davvero. Lei ha del talento mi creda!
- Grazie, ci vediamo presto.

Dialogo 18

-Caro avvocato!

-Professore, è un po’ che non la si vede...

-Ecco sì, sono stato molto  impegnato, sto elaborando nuove didattiche d’avanguardia, mettendole alla prova in alcune classi liceali sperimentali.

-Interessante... in cosa consiste questa sperimentazione?

-Si tratta di un metodo di valutazione scritto, che fonde il quiz con l’interrogazione: la chiamo quizzazione.

-Mi può fare un esempio?

-La domanda potrebbe essere: “L’albero a cui tendevi la pargoletta mano era: (a) l’azzurro ciliegio, (b) il giallo albicocco, (c) il verde melograno.”

Oppure: “Ei (a) sarà, (b) fu, (c) sarebbe. Siccome immobile/dato il mortal sospiro”. Viene considerata esatta la risposta più sbagliata.

-Comprendo... e le classi come rispondono?

-Con insulti, cachinni e pernacchi, naturalmente. Sa come sono i giovani. Sembra che un gruppo di genitori voglia citarmi in tribunale e si preannunciano interrogazioni parlamentari.

-Mi dispiace!

-Ma no, fa parte del sistema. Oggi per emergere bisogna far parlare di sé, e il modo migliore per farlo è creare polemiche assurde e controversie incomprensibili, in modo che se ne occupi la televisione.

-Afferro il punto. E a parte queste esperienze scolastiche, cosa sta facendo di bello?

-Conduco una vita assai tranquilla, sa, come si dice: un colpo al cerchio, uno alla botte piena e un paio di colpi alla moglie ubriaca.

-Scherza sempre lei, professore!

-Non resta altro da fare, a questo punto. A proposito, ha sentito questa storia della guerra dei dazi?

-Tra Stati Uniti e Cina?

-Precisamente.  Proporrò ai miei studenti di commentare, in chiave moderna, lo scontro tra Dazi, Orazi e Curiazi. Che ne dice?

-Originale, davvero! Be’ io scendo qui, a presto professore. 

-A presto, carissimo.

Dialogo 19

- Caro avvocato, la vedo pensoso stamane

- Eh, sì, davvero, commendatore, stavo ancora pensando a una conversazione con mio figlio, ieri sera…

- Su quale argomento?

- Le sue esperienze sessuali. Sa, una di quelle franche discussioni tra padre e figlio. Il mio Luca ha quasi vent’anni ormai.

- Be’, e che ne è uscito, se posso permettermi?

- Certamente, mi confido volentieri con lei.  Ecco lui mi ha detto delle cose che mi hanno indotto a interrogarmi sul passato e in particolare sulle “nostre” esperienze, mi spiego? Insomma, ho fatto un tuffo retrospettivo nella gestione della domanda e dell’offerta, per così dire. Ad esempio, verso la fine dell’ottocento, una signora o signorina dopo un intenso corteggiamento, invio di fiori, inviti a teatro, passeggiate romantiche e via dicendo, poteva decidere di concedersi.

- Vero, si diceva così, concedersi.

- Poi dagli anni Venti in poi, sempre in seguito a un corteggiamento magari meno pressante, ma comunque serio, il risultato sperato era che l’oggetto delle nostre insistenze si decidesse a fare l’amore.

- Fare l’amore, sì.

- Con gli anni ’60 e 70’ irrompe la rivoluzione sessuale e le ragazze, cinema, pizza e cocacola, erano pronte a fare sesso.

- Pronte, prontissime a fare sesso.

- Negli anni successivi, fino alla fine del secolo le ragazze avevano semplificato le procedure; se gli girava bene, la davano.

- La davano, la davano, eccome se la davano!

- Poi entriamo nel ventunesimo secolo e qui entrano in gioco le considerazioni non più mie, ma di mio figlio.

- Che dice?

- Dice che le cose si sono di nuovo complicate. Adesso le ragazze vogliono vedere l’uomo attivo, che si impegna, che ci crede…

- Ci crede a cosa?

- All’Amore, A maiuscola. Non occorrono regali, promesse di matrimonio ed altre antiquitas del genere. Il ragazzo deve credere nell’Amore.

- E come fa?

- Sembra che si debba accorgere che lei ha cambiato pettinatura. Si deve ricordare il giorno, il luogo e l’ora esatta del primo bacio. Deve portarla a vedere una notte stellata, o illuminata da una romantica luna piena, e dirle che nell'universo intero lei è la stella più bella. Assolte queste incombenze, se la porta a letto.

- Se la porta a letto. Be’, non mi sembra poi così difficile, onestamente.

- Verissimo, ma Luca dice che il problema arriva dopo.

- Cioè?

- Il fatto è che, a suo dire, il risultato non è assolutamente stabile. Sembra che queste ragazze 2.0 dopo un po’ cambino nuovamente pettinatura e ricomincino la stessa procedura con un altro. 

- Ah, perbacco, veramente sconveniente, caro avvocato. Cosa mi dice mai! Beh, io scendo alla prossima, a presto e tanti cari saluti a suo figlio. Gli consigli di cominciare a guardare subito sul calendario di Frate Indovino la data della prossima luna piena e di tenersi pronto. Chissà quante nuove pettinature si troverà davanti prima del plenilunio!

Dialogo 20

-Monsignore carissimo!

-Egregio avvocato! Che piacere rivederla...

-Anche per me, mi creda.

-Che succede di nuovo nell'antico mondo della giurisprudenza?

-Che dire, c’è poca fantasia, gli umani commettono sempre gli stessi delitti da migliaia d’anni e non se ne stancano mai... però una cosa in effetti sta emergendo, non un nuovo tipo di reato, solo che viene commesso sempre più di frequente.

-Ah, e di che si tratta?

-Ecco, spero di non turbarla, monsignore, si tratta di un crimine odioso, lo stupro...

-Horribilis scelus! E da cosa dipende, secondo lei, questa recrudescenza?

-Ecco, è difficile a dirsi, e tenendo conto del fatto che il cambiamento dei costumi sessuali della nostra civiltà occidentale ha senz'altro facilitato i contatti carnali, anche al di fuori del santo matrimonio, ci si sarebbe potuto aspettare, dico io, una diminuzione di questo tipo di violenza...

-E quindi?

-Quindi, secondo un mio amico, questore di polizia nella mia città natale in Calabria, la spiegazione andrebbe trovata nel combinato disposto dell’arrivo fuori controllo di migranti e in una certa impudicizia messa in atto spavaldamente da giovani donne imprudenti.

-Non sono sicuro di capire, mi spieghi meglio.

-Dunque, è sotto gli occhi di tutti che da una quindicina d’anni le nostre contrade siano venute popolandosi di un sempre maggior numero di giovani uomini arrivati dai quattro angoli della terra. Costoro spesso non si integrano facilmente nella società e molti di lor tendono a ciondolare per le strade, senza soldi ma con tutte le pulsioni sessuali proprie della loro età.

-Ebbene?

-Ebbene, secondo l’amico questore, quelle stesse strade sono attraversate anche da fanciulle, che, massime nei mesi caldi, indossano abbigliamenti veramente minimali, scollature generose e certi pantaloncini così stretti e così corti, che insomma, ecco, non lasciano molto spazio all'immaginazione...

-Capisco, avvocato, ma d’altra parte si sa che le donne giustamente rivendicano il diritto di abbigliarsi come più gli aggrada e, se a una proposta rispondono no, è un no senza appello, senza se e senza ma!

-Ma certo, ci mancherebbe altro e la legge difende questo diritto sacrosanto! Però...

-Pero?

-Il mio amico ha detto: fatti salvi tutti i diritti, se una esagera con la provocazione, può capitare che qualche moretto ingrifato le cala la subbia, e non si può mettere un agente dietro ogni bel paio di... mi scusi, monsignore.

-Anche se non conosco le terminologia del signor questore, credo, lato sensu, di averne interpretato il pensiero. Beh, è stato interessante, speriamo nell'inverno che sta arrivando, poi la provvidenza troverà una soluzione, come sempre. Io scendo alla prossima. Laudetur Dominus noster! 

-Amen.

Dialogo 21

-Caro ingegnere, come va oggi?

-Non male direttore, direi anzi tutto bene, se non fosse che...

-Che succede?

-No, non si allarmi, è solo che queste imminenti festività pasquali mi hanno indotto a cercar di capire come funziona questa faccenda della Pasqua.

-In che senso, scusi?

-Ecco, come tutti i cristiani poco praticanti, non sono molto addentro i calcoli sacri, però mi sono detto: sono un ingegnere, non c’è calcolo che non possa comprendere.

-Ma che dice, cosa c’è da comprendere?

-Lei sa perché la Pasqua, per cattolici e protestanti, quest’anno cade il 21 aprile?

-Perché l’ho letto sul Corriere della Sera.

-Vede, in realtà non lo sa, come non sa che invece per gli Ebrei questo stesso anno si celebra il 27 aprile, e per i cristiani ortodossi il 28. E per di più, in certi anni coincidono due Pasque e assai raramente tutte tre.

-Oh bella, non ci avevo mai fatto caso!

-Io invece mi sono detto: devo capire questa faccenda. E così navigando in Wikipedia, mi sono imbattuto nell’epatta.

-Vale a dire?

-Dal greco: epaktai hemèrai = giorni aggiunti; in latino: epactae dies, l’epatta dell'anno è il numero di giorni da aggiungere alla data dell'ultimo novilunio dell'anno precedente per completare l'anno solare. Nel calendario gregoriano si definisce l'epatta come l'età della Luna al 1º gennaio espressa in trentesimi di lunazione.

-Non ho afferrato bene.

-Neppure io, e quindi ho continuato le ricerche, sempre grazie a Wikipedia.

-E ha finalmente capito?

-No. A un certo punto vengo a sapere che le epatte sono usate per trovare l'età della luna in qualsiasi giorno dell'anno a partire dalla data nel comune calendario solare. In particolare compaiono nel calcolo della prima lunazione di primavera e quindi nel calcolo della Pasqua.

-La lunazione di primavera...

-Precisamente. Il fatto è che un anno solare di calendario ha generalmente 365 giorni, 366 giorni negli anni bisestili. Un anno lunare ha generalmente 12 mesi lunari, che durano in media 29,5 giorni (con un piccolo resto). Quindi l'anno lunare ha 12 × 29,5 = 354 giorni (355 negli anni bisestili). Pertanto l'anno solare dura sempre undici giorni in più dell'anno lunare ordinario.

-Vabbè, e con questo?

-Il problema è che all'inizio di un ciclo metonico anno solare e anno lunare cominciano lo stesso giorno.

-Ciclo metonico...

-Il ciclo metonico, che prende il nome dall'astronomo greco Metone, è un ciclo di 19 anni, basato sull'osservazione che 19 anni solari corrispondono (quasi) esattamente a 235 mesi lunari e a 6940 giorni. Sul ciclo metonico si basano i calendari lunisolari aritmetici, cioè quei calendari, che mantengono il sincronismo sia col corso del sole sia con quello della luna per mezzo di approssimazioni aritmetiche dei moti reali medi dei due astri. Sono "aritmetici", per esempio, il calendario ebraico e quello ecclesiastico, utilizzato dalla chiesa cattolica per il calcolo della Pasqua.

-Mi sto perdendo...

-Secondo gli astronomi greco-romani il ciclo metonico sarebbe stato scoperto dall'ateniese Metone nel 432 a.C. e perfezionato da Callippo di Cizico nel 330 a.C. Il ciclo metonico, tuttavia, era conosciuto in Mesopotamia almeno dal VI secolo a.C.: su di esso si basava il calendario babilonese, dal quale fu derivato il calendario ebraico tuttora in uso in Israele. Anche l'antico calendario arabo si basava sul ciclo metonico, ma Maometto lo modificò ordinando che tutti gli anni fossero di 12 mesi lunari. Per questo motivo il calendario islamico non segue l'anno solare, ma, dato che il suo anno è di 10-11 giorni più corto di quello solare, ogni anno il Capodanno islamico arretra temporalmente di altrettanti giorni rispetto al Capodanno solare.

-Ma pensa un po’ cos'è andato a pensare Maometto!...

-Ho dovuto quindi cercare di capire l’utilizzo del ciclo metonico nei calendari lunisolari.

-Naturalmente.

-Così ho scoperto che il ciclo metonico di 235 mesi lunari è ripartito in 12 anni di 12 mesi lunari e 7 anni di 13 mesi, vale a dire 12×12 + 7×13 = 235. Occorre, perciò aggiungere ogni due o tre anni un mese, detto mese embolismico, indispensabile per calcolare esattamente l'epatta, senza la quale non conosciamo l’età della luna e quindi non sappiamo quando cade la Pasqua per le varie confessioni religiose.

-Il mese embolismico...

-Le cose poi si sono complicate quando ho scoperto che occorre tenere conto dell’anno tropico il che porta al concetto di ciclo callippico con la conseguente definizione di numero aureo.

-Tutto questo per dire che tra qualche giorno è Pasqua? Ecco, sa cosa le dico, io adesso vado a comprare un uovo di Pasqua per i miei nipoti e dell’epatta me ne impippo, caro ingegnere. E lei cosa pensa di fare? 

-Penso di diventare buddista. Scendo alla prossima, tanti auguri e omaggi alla signora!

 

Dialogo 22

- Ci conosciamo?

- Ah mi scusi davvero, in effetti la stavo fissando, mi sembrava di averla già vista da qualche parte...

- È possibile... sono un critico d’arte e a volte mi capita di partecipare a qualche dibattito televisivo.

- Ma certo, è così, l’ho sicuramente vista in televisione. Mi scusi ancora!

- Ma di che? Piuttosto mi dica, lei cosa fa di bello?

- Sono stato recentemente assunto dal Ministero dello Sviluppo Economico, come informator.

- Interessante! Di cosa si tratta?

- È una delle nuove professioni inventate dal governo per diminuire la disoccupazione.

- Però! E come funziona?

- Non è difficile, prima si prende una parola che finisce per “e” e la si inglesizza.

- Sarebbe a dire?

- Si toglie la “e” finale. Navigatore diventa navigator, informatore diventa informator eccetera.

- Ho capito. Quindi in pratica lei cosa fa?

- Informo. Scelgo un argomento e informo i cittadini sui vari aspetti dell’argomento stesso.

- A che scopo?

- Non lo so, ma non ha importanza. Il fatto è che così facendo io prendo uno stipendio, e non sono più nell'elenco dei disoccupati, il che fa fare bella figura al governo.

- Ma guarda! Che faccenda curiosa! Ma mi spieghi, su cosa sta informando in questo periodo i cittadini?

- Sulla tapioca.

- Lei è un agronomo?

- No, no... ci mancherebbe altro. Spulcio soltanto qua e là su Wikipedia.

- Beh, mi faccia un esempio, faccia conto che io sia un cittadino che desidera essere informato sulla tapioca. Che mi dice?

- È la prima volta che mi capita. Che emozione! Dunque la tapioca si ricava dalla radice della manioca, detta anche cassava.

- Molto bene.

- La cassava esiste un due varianti: con rami verdi o con rami rossi.

- Continui!

- Quella con rami verdi dà una tapioca pericolosa se non viene purificata, perché contiene una sostanza tossica che se la mangi ti becchi il konzo.

- Oh kanzo, pardon, perbacco! Che sarebbe?

- Una specie di paralisi che si chiama anche mantakassa.

- Oh mantakasso, pardon, perbacco! E poi?

- E poi basta, per quello che mi pagano ho già studiato fin troppo.

- Naturalmente, capisco. Beh, grazie è stato tutto molto istruttivo. Sa se ci saranno altre opportunità di lavoro in questo settore?

- Ho sentito dire che assumeranno nei prossimi mesi tremila scassator... pagano bene, ho già fatto domanda, mi dimetto da informator e divento scassator. 

- Approvo in pieno, le  assicuro che lei ha la stoffa per farlo. Scendo alla prossima, piacere di averla conosciuta, buona giornata!

Dialogo 23

- Oh, caro professore, non pensavo di ritrovarla qui. Avevo pensato che con la nuova linea della metropolitana vicina a casa sua, avrebbe preferito...

- Mah, che vuoi che ti dica, a me quelle gallerie sottoterra mi inquietano un po’. Preferisco la luce del sole, e poi, francamente, che premura ho?

-Certo, la capisco.

-Dimmi di te, come va? Il tuo lavoro ti piace?

-Sì, sì lo trovo un lavoro entusiasmante...

-Eh, lo sapevo. Mi ricordo di te, all'università eri bravo e sono sicuro che nella tua professione ti andrà sempre tutto bene. E della vita privata cosa mi dici, se posso permettermi.

-Ecco, progetti definiti non ce ne sono, per ora, frequento ragazze, questo sì, si esce, in giro per locali e ristoranti.

-Beata gioventù! E dimmi, cosa propone di buono la cucina moderna qui a Milano? Alla televisione non si vede altro che programmi di alta cucina e io, ti confesso, sono rimasto alle cotolette.

-C’è di tutto. l’altra sera siamo andati in un ristorante nuovo di cui si parla molto e ho provato la specialità del locale: il risotto.

-Scusami, ma non mi sembra questa gran novità!

-Ma questo è il risotto alla giamaicana, al succo di mango, con crema di banane flambé al rum bianco delle Antille e polpa di lulo.

-Perbacco! E com'era, dimmi.

-Non male... vedo che lei è un po’ perplesso, prof, ma sa com'è, ho voglia di assaggiare cose nuove, la cucina della mamma francamente non mi dice più niente.

-Ti comprendo.

-Davvero?

-Sì, perché sai, la fame , il desiderio di cibo è un segnale potente della natura, paragonabile al desiderio sessuale: dopo un po’ che stai senza mangiare e senza... e senza sesso, nel cervello si accendono tante spie rosse che neanche nella cabina di pilotaggio di un Jumbo jet che sta precipitando. Ma qui la natura si è mostrata veramente matrigna: ricordi il grande Ronsard?

-Veramente no, prof.

-Parlava della natura matrigna: "O vraiment marâtre Nature/ Puisqu'une telle fleur ne dure/che du matin jusques au soir." Ma non divaghiamo, il fatto è che la natura non solo ci ha instillato queste potenti e invincibili passioni, ma ci ha anche aggiunto subdolamente il desiderio di novità, per soddisfarle pienamente. Questo da una parte spiega le corna, e dall'altra spiega questa ricerca di cibi sempre più strani. Ma c’è una differenza...

-Continui, prof, è interessante.

-Diciamo che se uno, stanco di cucina italiana, passasse per un po’ di tempo alla cucina cinese, per poi provare quella indiana eccetera, si potrebbe capire. Ma siamo sempre nella tradizione, insomma nessuno ti vieterebbe di amare appassionatamente una ragazza cinese e dopo una indiana, mi segui?

-Certo!

-Ma il risotto che mi hai descritto, trasposto nell'ambito sessuale, equivarrebbe a desiderare un rapporto carnale con un caribù. Femmina naturalmente.

-Naturalmente... 

-Ecco caro, io scendo qui, sono arrivato, vado da  mia figlia che mi ha preparato il solito risotto con l’ossobuco. Ah, beata gioventù...